lunedì 24 novembre 2008

Il fastidio di John

Una notte John non riusciva a dormire.
La quiete della notte, il caldo comodo delle coperte, la sensazione di morbidezza del cuscino... tutto riusciva a farlo sentire a disagio.
Si girava e rigirava e il disagio aumentava, finchè non decise di alzarsi.
Si alzò di botto, come se fosse suonato un allarme, si tolse il pigiama di corsa, si buttò su i vestiti della sera prima e scattò, di corsa, aprì la porta ed uscì.
Sguardo a destra, la strada. Sguardo a sinistra, la strada. Un lampo. John prese a correre all'impazzata verso la strada in salita, con le luci della città che coloravano le case di un arancione pallido, e lui correva e correva, a perdifiato, come se fosse l'unica cosa che poteva fare, come se correre fosse l'unico istinto che aveva.
Il vento gelido gli picchiava sulla faccia, si infilava nel collo, gli congelava le orecchie e lui continuava a correre. Svoltò a destra, improvviso, poi in discesa, sempre di corsa, testa bassa, alternando le braccia, fino ad arrivare al fiume.
Senza batter ciglio fece un balzo e saltò sul muretto, poi un grande balzo verso il fiume...
Durante il salto trattenne il respiro, e il tempo per lui cominciò a rallentare, sentiva il vento che si stava trasformano lentamente in una carezza, poteva vedere le onde sulla superficie dell'acqua scorrere lente, irreali, e sentire ogni singola molecola dell'aria che gli passava sulle guance, sembrava quasi che il tempo si stesse fermando...
Passarono due giorni prima che la polizia rinvenisse il suo cadavere nel letto del fiume. Chi vide il corpo disse che era raccolto, come un bambino nell'utero materno, e aveva sulla faccia un sorriso, beato, come se fosse sollevato.

giovedì 13 novembre 2008

Il fedora (Farrington's pub, Dublin)

La sera scorre lenta.
E' buio, la fioca penombra lascia intravdere sagome di cose semplici, sagome di cose senza importanza.
Una sedia, un attaccapanni, alcune cose sul tavolo, penne, fogli, e un cappello.
Il cappello... un fedora, grigio con un nastro bianco.
Ho conosciuto Miriam con quel fedora.
Mentre lo indosso e m'incammino ripenso a quel giorno, lei era splendida e semplice, con quei suoi vestiti poveri da scolaretta, una gonna grigia e una camicetta chiara, e quei capelli biondicci da maschiaccio, raccolti e tirati indietro da una fascia.
Mi ricordo quando a un tratto si è tolta le scarpe, e a piedi nudi è entrata nella fontana e ha iniziato a schizzare quel ragazzo che la stava importunando... e lui se n'è andato a testa bassa.
E mi ricordo che lei rideva, e rideva con una dolcezza tale che il tipo non poteva arrabbiarsi con lei...
Poi, sempre sorridendo, mi ricordo che è uscita dalla fontana ed è andata a piedi nudi nell'aiuola e si è seduta sull'erba, col sole che illuminava la naturalezza dei suoi movimenti.
Io ero rimasto affascinato, guardavo tutte quelle ragazze intorno, con vestiti costosi e imbellettate che sembravano uno sfondo a una grande opera d'arte: lei.
Alla fine ho preso coraggio e sono andato da lei, mi sono seduto sull'erba, con il mio bel fedora nuovo e una sigaretta tra le labbra.
-Fumi?
-Si, ma non ciò che mi danno gli estranei
E così dicendo tolse da chissà dove una borsina di tabacco e un pacchetto di cartine e si preparò la sua sigaretta.
Io intanto la fissavo, guardavo quel viso limpido, non truccato, carino ma non bellissimo, ma che era illuminato da un sorriso così solare che la trasformava in una musa, una creatura divina mandata per ispirare le facoltà degli uomini...
Gli occhi mi si riempiono di lacrime, cerco di contenermi, ma mi accorgo che ripensando a quei momenti mi sono chinato per abbracciarti e una lacrima è scivolata sul tuo viso e un'altra sul freddo frassino.
Mi ricompongo, nostra nipote mi abbraccia mentre mi asciugo gli occhi e mi rassetto il fedora.
La guardo e vedo in lei tutto quello che vidi in te quel giorno in cui entrasti nella fontana.
Mi scappa un sorriso e le do un bacio e un abbraccio e mi sento fiero di lei e di noi... poi mi chino, do un bacio anche a te e mi allontano.
Presto sarà anche il mio tempo.
Sento l'inverno nell'anima ma sorrido, e pensando a come sarà bella la vita di nostra nipote mi si scalda il cuore, inizio a camminare e penso che l'inverno, tutto sommato, non mi fa più paura.

mercoledì 12 novembre 2008

Prime impressioni @ Dublin

Dublin is a nice city.
You can feel it as soon as you get out of your plane... or maybe before, you can feel it when you see its lights from the little window of your plane... lot of lights, lot of life...
Today is wednesday and the streets are full of people. There's young ladies wandering around and drinking stouts, a lot of young groups of boys and girls, a lot of other people like the worst 60-yrs old man, drunk to the spine, wandering around a little left, a little right, trying to keep a once straight line that now is moving and trembling but always lead from one pub into another.
You can feel the heart beats, the heart of millions of people, every one who work, breathe, drink, live, and fill the air with the magic of a rhythmic, pulsating, deep, heart beat.
I think I'm going to like it

venerdì 5 settembre 2008

Eurostar Milano - Viareggio

Il sole filtra tra le tendine, i suoi raggi caldi penetrano nella carrozza e cercano di dare colore allo squallido grigiore delle plastiche.
E' bello viaggiare in treno.
O meglio, lo sarebbe, se non avessi pagato un mucchio di soldi per viaggiare comodo su un Eurostar e invece non mi ritrovassi su un treno che sembra più un regionale, pigiato tra gente e valigie e senza aria condizionata... ma una volta non faceva freddo a settembre?
Sudo. Devo stare con le braccia attaccate al corpo perchè non ho spazio, ho il tavolinetto davanti con lo zaino sopra e la valigia di fianco perchè non c'è spazio. E sudo.
Per fortuna tra solo 5 ore dovrei arrivare.
No, via, di questo treno affollato mi restano SOLO TRE ORE...
Ma poi a Chiavari i miei vicini di posto dovrebbero scendere, magari anche a Genova si libererà un po' di posto, se non altro per mettere via la valigia e lo zaino...
Oggi, prima di tutto questo trambusto, giocavo a fantasticare... ho voglia di cambiare, mi sto informando, se tutto va bene tra poco niente più Milano, niente più cielo grigio, niente più 600 km/settimana per tornare a casa per il week-end. Se tutto va bene niente più "a casa" per gli week-ends.
Penso a come sarebbe, a come sarebbe bello vedere il sole che gioca tra gli alberi, e il vento che muove gli steli dell'erba e tutto così perfetto, un cielo azzurro e sotto al cielo un paese smeraldo.

domenica 6 luglio 2008

Aulla - Castelnuovo

La stazione è una casupoletta, di un giallo ormai sbiadito e un tetto di tegole dove il muschio da un colore scuro a quello che una volta doveva essere arancione brillante.
La canala riprende il colore e scende a terra, ricoperta di ruggine e calce.
Fuori dalla piccola stazione ci sono delle piante fuori luogo quasi come l'uomo, un uomo di un'età imprecisata con i capelli come Elvis e una pancia che sembra artificiale.
La natura è selvaggia, intorno.
Montagne con cime aspre e rocciose scendono fino a trasformarsi in boschi di conifere, che si mescolano presto a quercie e castagni.
Il paesino, con la sua chiesa di pietra e il campanile ottogonale, è circondato dalle fronde, sembra di essere lontani da tutto, se non ci fosse il treno sembrerebbe di sentire ancora da lontano il ragliare degli asini, le schiene caricate dalle gerle piene di castagne, trasportate lungo aspri sentieri tra pascoli e carbonaie.
E sembra di vedere donne intente a stendere il bucato con il fazzoletto in testa, e vecchi, con vestiti poveri e il fisico di chi ha lavorato una vita nei campi, dissestando il terreno duro e sassoso a colpi di zappa, che sorridono dalla veranda del bar del paese, che si affaccia sulla piazza dove i bambini giocano rincorrendo i cani...
L'arrivo dell'altro treno scuote la calma e riporta al presente.
Il paese è vuoto, probabilmente sono tutti nelle loro case a guardare telegiornali che parlano solo di caldo e soubrette, in attesa di trasmissioni dove si litiga sovrastando la voce degli altri e gesticolando come scimmie ubriache.
L'altro treno si ferma e lascia libero il binario, anche il mio treno può ripartire e gettarsi nelle frasche e nelle gallerie, mentre il paesaggio piano piano si trasforma, sempre più paesi, sempre più case vicino ai binari, con macchine parcheggiate e parabole sui tetti.
Sempre più in basso, fino ad arrivare nella valle, nel paese più grande, con case, strade, gallerie, traffico... penso ai miei colleghi di città, per loro anche questo posto sarebbe un paradiso verde, un posto dove fare un week-end off, per dimenticare il caos e il ritmo faticoso della città.
Lentamente il treno si ferma, prendo la valigia e scendo le scale, e ripenso al paesino, ma un attimo, poi mi lascio alle spalle i binari e ritorno nel mondo attraversando la sala della stazione.

mercoledì 23 gennaio 2008

Milano

E' il 23 gennaio a Milano.
L'aria è tersa, fresca, la nebbia che sfocava i palazzoni è quasi un ricordo, se non fosse così freddo sembrerebbe primavera.
Da viale Grosio, sulla terrazza dell'Agfa-Seat, si vedono le Alpi.
E' strano, sembra che vengano fuori dal nulla, nel bel mezzo della pianura.
Una distrazione e... *TAC*, ti trovi davanti un muro di alberi e roccia, e magari, in vetta, la neve.
Poi scende la notte.
E' strana la notte, a Milano.
La città lascia nel cielo un bagliore diffuso, non è mai veramente notte.
E il cielo... non ci sono stelle, nel cielo.
E' come se non ci fossero più i sogni nel cuore degli uomini, a Milano.
Come se tutto fosse terreno, materiale, opprimente.
Già, non ci sono più stelle.
Mi ricorda una canzone dei Pearl Jam,
-so che un giorno avrai una vita fantastica, so che sarai una stella... nel cielo di qualcun'altro. Perchè? Perchè non può essere il mio?
Ed è in una sera d'inverno che mi alzo dal mio tavolo della pizzeria Egiziana e m'incammino, nel buio freddo e senza stelle, andando incontro alla notte.
Ci vorrà una sigaretta.
Almeno.