martedì 22 luglio 2014

Lost in transcription

L'aria è afosa, dai piccoli finestrini si vedono le ondate di caldo che salgono dall'asfalto. Le turbine accelerano, poi il freno si allenta e l'aereo inizia a muoversi. La spinta verso il sedile mi rilassa, pian piano ci stacchiamo da terra e cominciamo a salire in una lenta spirale. E' il secondo volo della giornata, mi metto le cuffie nelle orecchie, attacco la riduzione del rumore e accendo la musica. Eddie Vedder mi sussurra nelle orecchie storie lontane mentre io, lentamente, mi addormento.
Il rumore d'un tratto è assordante. Apro gli occhi e non capisco, l'aereo traballa e tutti urlano come pazzi. Scendono le maschere mentre il capitano con tono deciso parla di qualcosa che ha colpito il motore di destra e di un atterraggio d'emergenza. Metto velocemente la maschera e respiro affannosamente mentre stringo i braccioli. Respira respira respira respira... e poi sento lentamente che tutto svanisce... vedo sfocato, respiro sempre più forte. Ma ci sarà ossigeno? Poco dopo, tutto si oscura.
Grida, colpi, forse spari, non so. Qualcuno mi sta alzando, non riesco né a muovermi né ad aprire gli occhi. Sento odore di fumo e un odore ferroso, forte, sangue forse. Mi sollevano di peso e mi trascinano. Aprendo un poco gli occhi vedo fuoco, fumo, ma è tutto sfocato.
Mi trascinano ancora un po' e poi mi buttano su un fianco, su una camionetta. Vedo non troppo lontano la fusoliera, o meglio, quello che ne rimane. Mancano il timone, un pezzo d'ala e ci sono squarci enormi e fiamme ovunque.
Non sono solo, ci saranno almeno altre dieci persone intorno a me. Vedo che sono legate con le mani dietro la schiena e mi accorgo che anch'io sono legato. Dietro al camion ci sono uomini con uniformi blu e nere, maschere antigas e fucili d'assalto, o almeno così credo. Il camion comincia a muoversi e iniziamo ad attraversare un bosco, fino a che non arriviamo in una radura.
Ci fanno scendere dal camion, io non riesco a reggermi in piedi, uno di loro mi prende per un braccio e mi porta verso una specie di caseggiato di cemento. Fuori ci sono un mucchio di soldati in uniforme blu e nera. Nessuno ci ha ancora detto una parola e dubito che siano venuti per salvarci. Mi mettono in una stanza, se ne vanno e chiudono la porta. Dentro con me ci sono altre due persone, un ragazzo con capelli mossi un po' a fungo, decisamente sporco e addormentato (spero) e una donna sulla quarantina, affumicata e spettinata. Veste un tailleur che probabilmente avrebbe voluto essere celeste. E' scalza.
- Parlez vouz français? - mi dice
- Non... je... suis italienne. Anglais?
- Oui... sure. Sorry. My name is Florence.
Siamo molto scossi e la comunicazione è difficile. Sto riprendendo le forze, però mi sento come se fossi stato in una centrifuga con dei sassi dentro. Sento male ovunque, ma nulla di grosso, sembra.
Lei era vicino all'ala e ha sentito come un'esplosione, poi ha visto il motore distrutto e l'ala che piano piano si è spezzata... Mi dice che l'aereo ha iniziato a scendere velocemente, poi non si ricorda nulla, e si è svegliata lì.
A un tratto la porta si apre ed entrano 3 soldati. Quello al centro urla qualcosa che non capisco, poi
- SHUT UP! Nationality! Nationality! You!
- Italian - dico, con la voce meno preoccupata che posso fare.
- Stand! Come!
Mi portano in una stanza dove ci sono più persone e una telecamera. Sembra un'attrezzatura professionista, è una di quelle lunghe un metro, montate su una specie di colonna di ferro.
- Lei italiano. Quale tuo nome?
Mi parla un uomo con un forte accento dell'est, seduto a un tavolo. Gli rispondo.
- Molto bene. Lei ultimo superstite italiano. Io Sergei di repubblica di Donetsk. Noi permettere te parlare con tuo paese, ma tuo paese vuole che noi va via da Donetsk. Tu deve dire a tuo paese di appoggiare noi e quando tuo paese negoziare, noi rimanda te tuo paese. Facile. Si?
- Si - rispondo di getto. Mi slegano e mi mettono a sedere ad un tavolo, davanti la telecamera. Sono convinto che se provassi a muovermi mi crivellerebbero di colpi. Si mettono a parlottare tra loro e armeggiano con roba elettrica.
Penso a quello che mi hanno detto. Penso a questi soldati che ci hanno portato qui. Ci hanno sequestrato. Non ci rimanderanno indietro fino a che non avranno quello che vogliono. Cioè mai. Io non voglio aiutare questa gente.
Nella mia vita ho fatto un mucchio di cazzate. Ma ho fatto molte poche cose di cui mi vergogno.
- Pronto per parlare... Sei in onda. Vai.
Tutti stanno in silenzio, la luce della telecamera è accesa. Mi fanno cenno con le mani. Prendo fiato e cerco di parlare con un tono normale.
- Sono [...], ero sul volo da Roma a Kiev, del 10 agosto. Siamo precipitati e ora siamo in compagnia dell'esercito di Donetsk. Voglio bene a tutti i miei amici e alla mia famiglia. Ti amo [...], ma devo dirvi quello che penso. Ci hanno sequestrato. Non date credito a questa gente. Non pagate riscatti. Non...
Il calcio di un fucile mi colpisce secco, sullo zigomo destro. Cado all'indietro. La luce della telecamera si era già spenta, non so se sono riuscito a trasmettere tutto, ma lo spero. Due uomini mi prendono a calci nel costato, fino a che Sergei non li ferma e si avvicina. Mi punta una pistola in faccia:
- Sei morto - dice - Morto!
Mi mette la pistola in bocca e urla come un ossesso. Poi leva la pistola e me la sbatte in faccia. Svengo.
Una secchiata d'acqua mi sveglia. Ora sono legato a una sedia con lo schienale davanti. Fa tutto malissimo, devo avere qualche costola rotta. Sergei è davanti a me.
- Tu pensa di fare cosa bella, tu pensa eroe. Ma tu stupido.
Il primo pugno di Sergei è sulla guancia destra. Un gancio di destro con una potenza impressionante che butta in terra me e la sedia. Subito un soldato mi raddrizza. Sergei è un omone sulla cinquantina, alto un metro e settanta, non di più, ma con spalle grandi. Nonostante la tuta si capisce che ha un fisico da corpo speciale. Il secondo colpo è un sinistro, dal basso verso l'alto che mi prende dritto nel naso e mi ribalta indietro. picchio la nuca da qualche parte. Mi rialzano, il dolore è fortissimo, non riesco a respirare, ho sangue in bocca e nel naso. Il terzo è un calcio, rotante sul lato della testa. Resto lì per un eternità, ad attendere che Sergei si stanchi. Dopo alcuni altri colpi spero che mi ammazzi in fretta.
Vai Sergei, vai. Picchia. Divertiti con me. Ma da me non avrai nulla. Penso a questo e sono orgoglioso. E prima che sia troppo tardi penso anche a te, e al tuo sorriso che non sarà mai mio. Sorridendo, mi addormento.

mercoledì 14 maggio 2014

Estate

Zzzzz.
Zanzara.
Maledetta.
Accendo la luce e la vedo volare via. Guardo il cellulare, sono le 5:13.
Devo trovarla.
Mi alzo e accendo la luce grande, ho gli occhi cisposi ma li strofino e cerco di mettere a fuoco... Ho la bocca secca, la lingua impastata come se non bevessi da mesi... e della maledetta nessuna traccia. Continuo a cercare per qualche minuto, non vedo volare nulla. Si è nascosta bene, la baldracca.
Alla fine mi arrendo, rispengo la luce e provo a dormire. Ho una sete immensa, ma non ho proprio voglia di scendere le scale, devo dormire.
Cerco di rilassarmi e sento su di me mille zampine di insetto che si posano e camminano, in ogni dove... mi giro e mi rigiro, cercando disperatamente di distrarmi, finchè alla fine, dopo una ventina di minuti, finalmente crollo.

E' passato qualche giorno, siamo in macchina, io e te, stiamo facendo la strada costiera... finestrini aperti, sole, caldo, parliamo del più e del meno e tu ridi... hai un sorriso bellissimo, solare. Ci fermiamo, accostiamo, spengo la macchina.
Il panorama è bellissimo, guardiamo giù dalla scogliera ricca di vegetazione e vediamo i riflessi del sole che giocano a far risuonare di luce la veste increspata del mare. Non scendiamo, continuiamo a parlare del più o del meno e a ridere...
Ultimamente ho pensato molto a te. Penso di aver preso una cotta bella grossa, ma non so cosa fare, a tratti mi sembra che... ma invece... e il mio cervello gioca a darmi illusioni e, nel contempo, a convincermi che non ho nessuna possibilità. Cristo, sei bellissima. Il sole e il caldo mi fanno sudare, ma noi continuiamo a stare lì, con i finestrini aperti, con un lieve accenno di brezza che accarezza i tuoi capelli mentre il tuo sorriso continua a splendere. Cosa darei per...
D'un tratto succede qualcosa. Ti avvicini, mi accarezzi, quasi mi abbracci e cominci a parlarmi da molto vicino. Sento il tuo respiro, l'alito di vita che esce dalla tua bocca, che intravede il mondo per un attimo e poi entra dentro di me.
Le mie labbra si avvicinano alle tue, improvvisamente ci stiamo baciando. Sono stato io? Sei stata tu? Non importa, ma ci stiamo baciando.
Ho voluto tantissimo questo momento, sento il cuore che mi batte all'impazzata... sento il tuo corpo che si stringe contro il mio, l'umido del sudore della tua pelle, il tuo profumo... Dio, sei stupenda. La sensazione è fortissima, ma c'è un problema. Ho la lingua gonfia, quasi addormentata, mi da fastidio. Il tuo bacio inizia a diventare fastidioso.
Com'è possibile? E' veramente la cosa che voglio di più in questo momento ma non riesco, mi da fastidio, è una sensazione opprimente. Non posso fartelo capire ma come faccio, sono convinto di sembrare meno sexy di una big babol.
Mi stacco un attimo e guardo nei tuoi occhi... Sembri emozionata, felice, a te sembra che non importi della mia lingua addormentata, è un attimo e ricominci a baciarmi. Non so che fare, mi sento in imbarazzo, non so che fare. Sudo, aumentano i battiti, cerco di essere naturale ma niente, e inoltre il fastidio è sempre più forte. Ho la bocca completamente secca. Sono tremendamente agitato. Che faccio? Che faccio?

Mi tiro su nel buio. Ansimo, come dopo il peggior incubo. Incubo? Era solo un sogno? Riesco ad essere sollevato soltanto a metà... e ho la bocca secca, la lingua infastidita. Il cellulare mi dice che non sono ancora le 6 e mezza. E' la terza volta che ti sogno questa settimana, e questa è stata decisamente la più intensa. Cosa devo fare? Sono convinto che è solo una fantasia mia, te non mi vuoi e farei solo del casino se ci provassi. Non devo pensarci, devo lasciare perdere.

Però, Dio, sei così bella!

lunedì 21 novembre 2011

Una notte di novembre

Luce gialla, i lampioni illuminano la strada deserta, in mezzo alle case. Un vento freddo muove l'aria e trasporta una foglia, sollevata chissà dove. Una tranquilla, anonima serata di novembre.
La sigaretta illumina per alcuni, rossicci istanti, la faccia dell'unico passante. Ormai sono quasi le tre, il silenzio riempie la notte.
In lontananza un rumore di un motore... un rumore sommesso, di un auto che avanza piano, quasi cercando di non far rumore, e si avvicina con calma.
Butti la sigaretta e la spengi con cura con la punta del piede, poi ti scosti dal muro, qualche passo calmo, mani in tasca del giacchetto che ti sei comprato al mercatino americano tre anni fa, poi ti fermi sul marciapiede, girando la testa in direzione dei fari che si avvicinano lentamente, fino a che la macchina ti si ferma accanto.
Uno sguardo veloce, il tipo biondo non accenna nemmeno un saluto, e tu entri nell'auto.
La strada comincia a scorrere, lenta, attraverso il vetro ancora appannato... L'odore di cenere riempie l'aria, ma i finestrini sono serrati.
Non conosci la strada, ti limiti a fare silenzio e guardare l'asfalto che vi passa davanti, senza pensare, senza ragionare, la testa vuota e lo sguardo duro, determinato.
Sono mesi che ci pensi, ormai hai preso la tua decisione e ora ci sei, eppure non ci pensi. Non un pensiero, non un compiacimento, non un rimorso, vai e basta.
Anche il biondo non parla. Ha lo stesso sguardo e guida, rilassato e in silenzio. Però fuma. Non sono passati nemmeno due minuti da quando ha spento l'ennesima sigaretta nel posacenere quasi pieno che già ne sta accendendo un'altra.
Odore di Cenere.
Solo cenere.

domenica 15 novembre 2009

Nebbie

Non era più così buio, ma la nebbia continuava a nascondere tutto quello che era più lontano del fiume.
Lei entrò in macchina continuando a ridere e scherzare mentre lui si appoggiò alla portiera. A breve sarebbero arrivati i saluti e ognuno avrebbe preso la via di casa, un caldo piumone e qualche ora di sonno prima di alzarsi... con la voglia di dormire ancora.
Si dice che se una farfalla sbatte le ali a Pechino, allora cambia il tempo a New York... magari quella sera una farfalla aveva flebilmente mosso una zampina sulle rive del fiume giallo, e questo aveva smosso una sola, piccola, folata di vento dall'altra parte del mondo. Una piccola brezza di vento caldo, piacevole, che le accarezzò la pelle e le modellò un sorriso.
-Che c'è?
-Nulla, ti stavo guardando
-E cosa guardavi?
-Il tuo sorriso...
-Fa cacare?
-No, direi di no... vedi, sorrido anch'io
Lei si girò guardando il volante e lui pensò che tra poco, quando si sarebbe rigirata, lo avrebbe salutato, lui avrebbe ricambiato il saluto e si sarebbe incamminato a piedi, avvolto dalla nebbia.
-Sai, guardarti sorridere è la mia seconda attività preferita
Lei si girò, e guardandolo gli chiese:
-E qual'è la prima?
-Beh la prima è guardarti negli occhi e sentire la tua voce
-Scemo...
-No, sul serio... Quando siamo insieme e mi racconti quello che fai, cosa pensi... mi sento bene, dimentico tutto: stanchezza, nervi, tristezza, e mi lascio trasportare dalla musicalità della tua voce
Forse sarebbe stato il momento di fermarsi, lei si era girata di nuovo verso il volante, ma stavolta gli angoli della bocca facevano capire che il sorriso era un po' forzato... e invece lui continuò:
-Sai, poi mi piace anche quando ci sono dei silenzi e tu mi guardi... io mi perdo nei tuoi occhi e non penso a nulla, sono come inebetito e sto lì a fissarti...
-Senti...
-Oh scusa, mi ero perso a parlare
Anche il sorriso forzato era scomparso, si vedeva che lei era infastidita dalla conversazione, e forse anche un po' triste sapendo che avrebbe dovuto dirgli qualcosa che non gli sarebbe piaciuto. Un attimo di silenzio mentre giocherellava con il portachiavi e forse organizzava le idee... lui riprese a parlare:
-Guarda, è quasi giorno... sarà l'ora di andare a casa... magari ci vediamo la prossima settimana
-Si... la prossima settimana... buonanotte
-Buonanotte
Le chiuse la portiera gentilmente e, salutando con la mano, si incamminò nella nebbia, con la testa vuota, e fumosa, come la nebbia d'intorno.
Poi riniziarono i pensieri, ma bastò poco perché lui arrivasse ad una conclusione.
Si fermò, guardò l'ora, e tra sé e sé pensò:
-Chissà se faccio ancora in tempo a prendere quel treno
E senza indugiare cambiò direzione e prese a camminare, tra la nebbia e le prime luci dell'alba, finché la nebbia non lo avvolse, e lo inghiottì completamente.

venerdì 12 giugno 2009

Prologo

Qualcosa non quadra.
Hai passato gli ultimi anni a vivere una vita felice, poche preoccupazioni e grandi soddisfazioni, un lavoro perfetto, un amore inebriante, una vita sociale in cui sei il protagonista.
Sono stati mesi sereni, lontani da preoccupazioni e ansie, non ricordi nemmeno l'ultima volta che hai pensato a scappare lontano, eppure non riesci a toglierti dalla testa che...
Qualcosa non quadra.
E cerchi di fare mente locale a questa mattina.
Risveglio dolce, bacio, carezze, doccia, caffè (preparato da lei), una rilassante passeggiata in una splendida giornata poi a lavoro, nulla di scocciante fino a sera, qualche risata con i colleghi poi di nuovo fuori, a passeggiare rientrando a casa.
Ricordi esattamente la sensazione che hai provato, era come se ci fosse un turbamento nell'ordine naturale delle cose, quindi hai visto lei (lui?).
Era lì, in piedi, con una tunica nera che le (gli?) copriva il volto, immobile. Quando le sei passato accanto hai sentito quella voce sussurrata che diceva "non è reale". Appena passata ti sei girato e non c'era più... e nessuno sembrava essersi accorto di nulla.
Ma tu si, hai sentito in te una sensazione strana, profonda, avvolgente, come se fosse stata l'unica sensazione vera che hai avuto negli ultimi anni.
E da quando sei tornato hai cominciato a riflettere e ora sei convinto che c'è qualcosa che non quadra.
C'è stata una svolta, non ricordi quando, hai solo un vago ricordo di quando le cose hanno cominciato a girare per il verso giusto e non ricordi niente che sia andato male da allora. Nessuna grana al lavoro, nessuna tragedia, nessun forte dispiacere, nemmeno un piccolo incidente, nulla, è tutto andato dannatamente bene.
Cosa succede? Sei in paradiso? Sono tutti d'accordo per farti sentire bene? Dove sei?
Prendi la tua moto nuova fiammante comprata con un mega sconto (stavi simpatico al concessionario) e parti, senza farti vedere né voltarti indietro e inizi ad accelerare.
Passi il primo semaforo senza fermarti e non succede nulla, nessuno ti viene addosso, nessuno frena all'ultimo minuto, nessun incidente, nulla... semplicemente ti fanno passare.
Passi il secondo, il terzo e il quarto.
Al quinto semaforo sfrecci col rosso a 210 mentre nessuno inchioda, ti insulta, nemmeno una mano fuori dal finestrino.
Ormai sai quello che devi fare... gas a manetta e via.
E' strano quando ti rendi conto che stai andando a sbattere. Hai così pochi istanti che non puoi pensare a troppe cose ma vedi distintamente il muro che si avvicina a una velocità impressionante e pensi che stai per vedere tutta la tua vita, e immagini di sentire l'adrenalina che sale, di assaporare il momento della tua morte, ma qualcosa non quadra.
I secondi non sono dilatati, lo schianto arriva veloce e il buio ti circonda.
Poi, più nulla.

venerdì 13 febbraio 2009

Inizio di una storia

E' strano pensare a come tutto è iniziato.
La notte era buia, le nuvole non lasciavano spazio alla luna, nel buio si intravedevano appena le sagome delle colline e dei monti e in lontananza si intravedevano le luci di case sparse e qualche lampione. Intorno a me solo buio, ormai ero a metà strada tra Kilcar e Carrick. Avevo intravisto una casa bianca e verde-azzurro, ancora in costruzione, e mi ero avvicinato ma avevo trovato tutto spento, magari non era ancora abitata. Sopra la casa c'era un capannone verde (o almeno così mi sembrava). Il silenzio era inquietante.
Mi ero fermato a fare una pausa, un momento di ristoro prima di riprendere il cammino che mi avrebbe portato a Carrick dove mi avevano consigliato una locanda. Sapevo che in una ventina di minuti sarei arrivato e già pregustavo il sapore di una Guinness e il caldo di un locale.
Mi ero seduto sui gradini della casa e guardavo il cielo, quando a un tratto avevo cominciato a sentirmi osservato.
Ricordo la paura, se ci fosse stato un qualche malintenzionato sarei stato da solo e in un posto desolato, nessuno per aiutarmi.
Giravo la testa a destra e a sinistra e girovagavo intorno alla casa per trovare qualcuno, ma non c'era nessuno. A un tratto girandomi di scatto avevo finalmente trovato il qualcuno. O meglio il qualcosa.
Era una pecora.
Aveva il muso bianco ed era lì e mi fissava.
Io ero pietrificato anche se avevo una consapevolezza che era soltanto una pecora e non ero in pericolo.
Ero inebetito e fissavo la pecora negli occhi e lei fissava i miei, quando improvvisamente parlò:
-Seguimi
Non so se era stato l'ordine della pecora o l'assurdità della cosa, ma improvvisamente ero calmo e ero pronto a seguirla.
Ne ho viste di cose strane da allora. Ancora oggi non riesco ad abituarmici.
Ora è il momento di andare, la luna è alta e Shliab Liag mi sta aspettando.
La casa ora è abitata, le luci sono accese e dalle finestre intravedo qualcuno che siede a un tavolo con un computer davanti. Mi alzo e parto alla volta di Carrick e da lì le scogliere.
A volte penso a come sarebbe una vita normale.
Ma non ora.
Ora comincio a muovermi, non ho molto tempo e la notte non durerà per sempre. Decido di non seguire la strada e mi incammino tra i pascoli e le torbiere.

mercoledì 14 gennaio 2009

Sogno di una notte di mezzo inverno

Non c'è nessuno su questa strada.
E' questo il bello del guidare di notte, non c'è traffico, nessun rumore, solo il rumore dell'auto che sfreccia tra le piante.
E pensare che non avrei mai voluto usare una macchina qui.
Ma ora non mi preoccupo della guida a sinistra, posso fare tutto con calma, tanto non c'è nessuno... E guardo il paesaggio... A destra una piccola lingua di prato e poi alberi, a sinistra una parete rocciosa che si alza e si abbassa durante il viaggio. La strada è fatta di quell'asfalto strano, scuro, un po' grezzo, dove si riflette la luce della luna.
C'è un'ottima luce, non riesco a vederla, da qui, la luna ma probabilmente è piena, perchè illumina tutta la campagna, e le fronde, e la strada, e la curva a sinistra che mi attende in fondo a questo lungo rettilineo, che pace...
Sto guidando una macchina particolare, sembra una di quelle vecchie americane con le linee spigolose, con il muso lungo, senza la coda e molto larga, comoda anche per viaggiare in tre nei sedili posteriori, magari anche in 4 all'occorenza.
Mi avvicino alla curva e all'improvviso spunta un camion. Esce dalla curva, sbandando, forse del ghiaccio, e occupa tutta la mia corsia. Mi butto a destra, deciso, ma cerco di non tornare subito a sinistra per evitare manovre brusche e testacoda.
Passata la cabina del camion cerco di rallentare, con calma, senza inchiodare, paura del ghiaccio, dell'olio, di quello che ci può essere. Mi avvicino al prato, ok, qui il prato si allunga un po', al massimo arrivo sul prato e sterzo piano, giusto per non rischiare di finire negli alberi, piano, piano... ok, sono quasi fermo... sul pratino, eccoci...
Quando ecco che improvvisamente la macchina non rallenta più, scivola, come su un cuscinetto d'aria, sterzo di colpo e la macchina si gira di 180 gradi, di botto.
E' un attimo, non riesco a capire che succede, i fari puntano in alto, gli alberi, la sensazione di vuoto, illumino gli alberi, vedo le fronde, bianche, poi il tonfo, morbido, sono caduto solo qualche metro, prima il retro, poi il davanti ma non è finita, la macchina comincia ad affondare, veloce, vedo l'acqua che sale sulle fiancate.
Riprendo a pensare, penso a come il pratino finisse nel vuoto, a come gli alberi nascondessero il mare, lago o questa cosa qualunque sia. Penso a cosa fare, a restare calmo e vedo l'acqua che sta per sommergere completamente la macchina e penso e velocemente sono sommerso.
Ok, penso, devo uscire, prima che ci sia troppa massa di acqua sopra la macchina, rompere il finestrino e nuotare, ok, posso farcela.
Cazzotto. Nulla. Cazzotto. Nulla. Gomito. Nulla.
Il vetro sembra di acciaio, non succede nulla, l'acqua preme sul vetro e non lo fa nemmeno vibrare.
Calma, serve calma, non devo sprecare ossigeno. Calma, ora penso a cosa fare, calma, calma, calma...
Calma...